Ai massimi le quotazioni di riso e mais. Banca mondiale: nel mondo cresceranno fame e tensioni sociali


Cresce di giorno in giorno il livello di allarme delle istituzioni internazionali per gli eccezionali rincari dei prodotti agricoli, che rischiano di aggravare la fame nel mondo e di moltiplicare le tensioni sociali.
Il fenomeno non appare transitorio, avverte la Banca mondiale in un documento che ha predisposto per gli incontri di questo fine settimana a Washington con le maggiori istituzioni finanziarie mondiali: i prezzi degli alimentari resteranno sicuramente elevati per tutto il 2008 e il 2009, poi cominceranno gradualmente a scendere, grazie agli aggiustamenti tra domanda e offerta. Non sarà tuttavia possibile riportare indietro le lancette dell'orologio: la maggior parte dei prodotti almeno fino al 2015 resterà più cara di quanto non fosse nel 2004. Una previsione poco incoraggiante, considerato che i rincari sono cominciati ben prima di quella data: l'indice dei prezzi alimentari elaborato dalle Nazioni Unite segnala che la salita è iniziata nel 2002. Da allora c'è stato un rialzo del 65%, anche se l'accelerazione è stata progressivamente sempre più forte, con un rincaro del 35% nell'ultimo anno.
«La comunità internazionale – ha esortato il presidente della Banca mondiale, Robert Zoellick – deve mobilitarsi non solo per offrire un supporto immediato (in caso di emergenze alimentari), ma anche per aiutare i Governi a identificare le misure e le politiche più appropriate per ridurre l'impatto sui consumatori più vulnerabili».
Tra i rischi c'è anche quello di non riuscire a raggiungere il primo dei cosiddetti Millennium Goals: quello di dimezzare entro il 2015 la percentuale di popolazione che vive in condizioni di povertà estrema, ossia con meno di un dollaro al giorno, e che soffre la fame. Un rapporto appena pubblicato dalla stessa Banca mondiale insieme al Fondo monetario internazionale riconosce che su questo fronte ci sono stati importanti passi avanti: pur essendoci ancora circa un miliardo di persone in condizioni di estrema povertà, tra il 1990 e il 2004 il loro numero è diminuito di 278 milioni di unità. Ma in Africa il progresso è stato a macchia di leopardo: negli ultimi dieci anni, diciotto Paesi del continente hanno goduto di un forte tasso di crescita (circa il 5,5% annuo, in media), mentre in altri venti lo sviluppo dell'economia non ha superato il 2% annuo. Sono proprio questi ultimi Paesi, privi di materie prime e spesso lacerati da conflitti, i più fragili di fronte alla cavalcata dei prezzi dei prodotti alimentari e dei combustibili.
Manifestazioni e disordini legati agli eccessivi rincari, tuttavia, non sono scoppiati soltanto in Africa. Proteste ed episodi di violenza si sono verificati anche in America centrale e meridionale. Il caso più recente riguarda Haiti, dove la «rivolta degli affamati» – che ha già provocato almeno cinque morti e una ventina di feriti – si è un po' attenuata, senza tuttavia placarsi del tutto. Anche la Fao è tornata a fare sentire la propria voce dopo le recenti violenze: «C'è il rischio – ha avvertito il direttore Jaques Diouf – che i disordini si diffondano ulteriormente, soprattutto in quei Paesi dove il 50-60% del reddito dei cittadini è destinato all'acquisto del cibo».
In Asia, almeno finora, la situazione si è mantenuta più tranquilla. Ma l'allarme è elevato, sia in termini di sicurezza alimentare che di sicurezza pubblica. Nelle Filippine – che ieri hanno ottenuto una preziosa promessa di esportazioni di riso anche da parte degli Stati Uniti – militari armati di fucili M-16 scortano gli addetti alla distribuzione di cibo e la presidente Gloria Macapagal Arroyo ha minacciato il carcere a vita per chi si rendesse colpevole di accaparramento di generi alimentari. In Thailandia – Paese dove non ci sono carenze di riso, che al contrario viene esportato in grandi quantità – le piantagioni vengono invece pattugliate dalle forze dell'ordine per evitare i furti, che stanno diventando sempre più frequenti.

 

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